Come capire se si ha un problema di tiroide? Se la malattia è ipertiroidismo nella donna giovane (le malattie della tiroide colpiscono le donne da 5 a 8 volte più degli uomini) i sintomi saranno abbastanza evidenti: tremori, palpitazioni, iper-sudorazione, dimagrimento molto eclatante. Più subdoli e quindi difficili da identificare sono i sintomi del’ipotiroidismo, cioè di un funzionamento della ghiandola a scartamento ridotto. Si possono verificare aumento del senso di stanchezza, incapacità di fare lavori in cui si richiede velocità mentale, stipsi, senso di gonfiore, sintomi di uno stato ansioso-depressivo, che però sono molto sfumati e che quindi possono confondersi con altro. Ci viene però in aiuto la storia familiare della persona. Per esempio la presenza di parenti di primo grado con malattie autoimmuni della tiroide.
Una volta sorto il sospetto che qualcosa non funzioni a dovere nella ghiandola tiroidea come si fa ad averne conferma? Basta un esame del sangue che dosi il TSH, un ormone prodotto per regolare la tiroide. Si alza quando la tiroide funziona poco e si abbassa quando funziona tanto. È un dosaggio molto preciso, soprattutto per l’ipotiroidismo e aiuta a definire bene anche la gravità del problema. Se l’ormone è presente in quantità molto elevate, allora si è affetti da ipotiroidismo. Poi si dosano gli ormoni tiroidei veri e propri: tiroxina e tri-iodotironina, che si abbassano nell’ipotiroidismo e si alzano nell’ipertiroidismo. In caso si avverta la presenza di noduli al tatto, o se ne sospetta la presenza anche se non sono palpabili, una ecografia aiuta a precisare la diagnosi.
Lo screening ecografico della popolazione adulta rileva che dal 30 al 50% delle persone esaminate presenta noduli tiroidei. L’uso del sale iodato, assunto fin dall’infanzia, costituisce la migliore prevenzione dello sviluppo di gozzo e noduli ma non è sufficiente.
L’orbitopatia tiroidea invece può verificarsi come conseguenza del malfunzionamento della tiroide e della malattia infiammatoria che la determina. Un disturbo piuttosto diffuso, anche se poco conosciuto, che provoca il progressivo spostamento in fuori del bulbo oculare e una eccessiva apertura delle palpebre.
La tiroidite autoimmune è un processo infiammatorio della ghiandola tiroide dovuto a produzione di anticorpi e di linfociti diretti contro la stessa ghiandola. È la più comune patologia tiroidea ad insorgenza postnatale dell’età pediatrica (circa il 2-3% dei soggetti in età scolare), con prevalenza del sesso femminile. È rara al di sotto dei 6 anni e la frequenza aumenta in età adolescenziale. La causa scatenante è sconosciuta anche se esiste una suscettibilità familiare. Questa tiroidite può presentarsi senza alcun sintomo, pertanto è una malattia difficile da scoprire e valutare. La comparsa di una tumefazione della regione anteriore del collo giustifica il sospetto clinico. Questa tiroidite però ha un decorso in generale benigno e privo di rischi.
La tiroidectomia in anestesia locale è indicata in caso di gozzo, orbitopatia e noduli maligni, a patto che il tumore sia abbastanza piccolo e non abbia dato metastasi. La chirurgia endocrina è un settore in cui, grazie al supporto della tecnologia, l’approccio mininvasivo si traduce in una maggiore precisione e sicurezza, in un vantaggio estetico e in un ridotto tempo di degenza, anche in casi di gravi neoplasie della tiroide. È quanto accade in particolare con la tiroidectomia videoassistita.
La tiroidectomia videoassistita (MIVAT, dall’acronimo anglosassone di Minimally Invasive Video Assisted Thyroidectomy) è stata ideata dal professor Paolo Miccoli dell’Ospedale Santa Chiara di Pisa, e messa a punto dal gruppo pisano e dall’équipe romana del professor Rocco Bellantone, direttore della Cattedra di Chirurgia Endocrina dell’Università Cattolica di Roma.