Un atto di devozione, oltre che un libro di storia. Ugo Intini racconta, si potrebbe anche dire celebra, la storia del socialismo italiano attraverso un'opera imponente – l'Avanti! Un giornale, un'epoca, edizioni Ponte Sisto – nata peraltro anche dall'incoraggiamento dell'attuale capo dello stato, amendoliano del Pci che spesso si è trovato in sintonia con i cugini socialisti. A lui l'autore predice un posto d'onore tra i grandi presidenti del paese, come Pertini.
L'Avanti! è un giornale che lo stesso Intini ha diretto negli anni '80, e dunque la sua cronaca non ha mai lo sguardo distaccato dello storico, bensì quello partecipe del militante. Un po' come raccontare l'amore di una vita. Potrebbe essere un limite, invece è a nostro parere il pregio principale di questo libro, che non ha la pretesa dell'oggettività (ma poi esiste davvero?) ed è invece una narrazione autentica di un soggetto collettivo: il soggetto-partito (il Partito in quanto tale, al di là di essere socialista, cui l'autore dedica pagine appassionate in memoria di ciò che non è più), e di un giornale che spesso ha dettato la linea anziché riceverla.
Ma è la storia soprattutto del microcosmo milanese, perché è proprio la «capitale del riformismo » che pare il motore immobile del progresso umano. «La borghesia come storia sociale è qui anche se la cronaca parlamentare è a Roma», scrisse appunto l'Avanti! quando fu trasferito nel capoluogo lombardo negli anni '10. E il «tocco milanese» si ritrova nell'apologia di Bettino Craxi, eroe della battaglia contro le «due chiese» (definizione di Nenni) democristiana e comunista.
Al Pci Intini non riconosce meriti: quando parla del predominio comunista nelle "regioni rosse" non trova di meglio che definirlo «un paradosso», e quando parla del terrorismo connota il partito di Berlinguer prima come «fiancheggiatore» (quando casomai era proprio con i socialisti che "flirtavano" vari esponenti dell'estremismo rosso) e poi come «restauratore dell'ordine». Così come il crollo della Prima repubblica, secondo Intini, ha una sola spiegazione: il non aver accolto l'indicazione craxiana della «grande Riforma» delle istituzioni.
Che, intendiamoci, è un tema vero che si pone anche oggi, ma forse – Intini non viene nemmeno sfiorato dal dubbio – da solo non spiega tutto. Insomma in queste pagine abbiamo ritrovato l'Intini che conosciamo. Un militante vero, adorabilmente fazioso.