Ablazione dei tessuti mediante laser
Dalla chirurgia plastica alla neurochirurgia, l'ablazione dei tessuti mediante laser è ormai una tecnica diffusa.
Nonostante questa popolarità, il meccanismo in virtù del quale intensi fasci di radiazione coerente, laser in breve, riescano a incidere i tessuti biologici non è noto in tutti i suoi dettagli. Ora la questione è stata affrontata in uno studio apparso in questi giorni sulla rivista “Physical Review Letters” per quanto concerne i laser a radiazione ultravioletta – di un tipo, cioè, simile alla classe LASIK utilizzata nella chirurgia oculistica.
L'effetto prodotto dai laser sui tessuti varia in realtà sia in base alla frequenza, o colore, della radiazione, sia in base della durata degli impulsi prodotti. Per i laser con impulsi di milionesimi di secondo o meno, esistono due meccanismi di azione basilari.
I laser nel “medio” infrarosso con ampia lunghezza d'onda tagliano per combustione: il riscaldamento del tessuto è tale da rompere i legami chimici delle molecole del tessuto. Poiché al contempo avviene una cauterizzazione, questo tipo di laser viene usato nei casi in cui si prevedono forti emorragie.
I laser nel vicino infrarosso, con lunghezza d'onda più breve, e quelli a luce visibile e a ultravioletti, per contro, creano una serie di microesplosioni che rompono le molecole. Durante ciascun impulso laser, l'alta intensità della radiazione nel punto di fuoco crea un gas carico elettricamente chiamato plasma. Alla fine di ciascun impulso, il plasma collassa e l'energia rilasciata produce le microesplosioni. Come risultato, questi laser – in particolare quelli ultravioletti – producono ablazioni più precise e con un minore danno ai tessuti circostanti. Ciò li rende più adatti alla chirurgia di precisione, alla microchirurgia e alla chirurgia oculistica.
“Si tratta del primo studio focalizzato sulla dinamica del plasma del laser ultravioletto in tessuti viventi”,
ha spiegato Shane Hutson, della Vanderbilt University, che ha coordinato la ricerca. “L'argomento è stato trattato diffusamente nell'acqua, e poiché di questa sostanza è fatta, per la maggior parte, la materia biologica, ci si aspetterebbe un comportamento simile nei nostri tessuti. Invece, esistono alcune notevoli differenze".
Una di queste differenze, si legge nel lavoro, è legata all'elasticità dei tessuti. La matrice biologica per esempio, limita le dimensioni delle microesplosioni, che così risultano essere più piccole che nell'acqua. Ciò riduce il danno prodotto nella materia circostante, secondo un effetto previsto. Ma secondo questa nuova ricerca, esso è maggiore rispetto alle attese.
Un'altra differenza soprprendente riguarda l'origine delle singole bolle di plasma: cioè che occorre per avviare il processo è solo una manciata di elettroni. Questi ultimi assorbono l'energia del fascio laser e danno il via a un processo a cascata che produce una bolla che continua a espandersi finché non contiene alcuni milioni di miliardi di elettroni. Il successivo collasso della bolla di plasma determina la microesplosione.
Nell'acqua pura, è difficile generare questi primi elettroni: le molecole di acqua devono assorbire molta radiazione prima di rilasciarne uno. “Nei sistemi biologici, invece, sono presenti quasi ovunque molecole di NADH, che le cellule utilizzano per donare o assorbire elettroni. E questa molecola assorbe fotoni proprio con lunghezze d'onda del vicino infrarosso: così l'esposizione al laser ultravioletto a intensità molto basse produce facilmente i primi elettroni”, ha commentato Hutson. (fc)