Persino la sua immagine (bellissimo e imberbe, occhi intensi e vitali) evidenzia il ruolo di primo piano di un vero eroe, che a soli vent’anni, succeduto al padre Filippo sul trono di Macedonia, iniziò una straordinaria campagna di guerra, che lo ha condotto ai confini estremi del mondo allora conosciuto.
La Grecia era stata appena conquistata, grazie soprattutto a un’arma invincibile ideata proprio da suo padre, la “falange macedone”, un’impenetrabile muraglia di sedici fanti, armati di lance lunghissime, capace di marciare su ogni terreno e di compiere qualsiasi evoluzione, senza disunirsi e senza indebolire la sua forza d’urto.
Nel 334 a.C. Alessandro parte verso l’Oriente, e in soli tre anni riporta tre fulminanti vittorie: a Granico (giugno 334), Isso (novembre 333) e Gaugamela (331); tutte in territorio nemico, tutte in inferiorità numerica. Dario, l’ultimo re persiano, è umiliato e fugge, per poi finire assassinato.
Due fattori contribuirono a rendere vincente e unica l’azione di Alessandro:
- il travolgente e personale carisma del condottiero;
- la dedizione totale dei soldati nei suoi confronti, costantemente pronti a seguirlo nelle sue mire imprevedibili.
Alessandro aveva un grande obiettivo: la costruzione di un Impero universale multirazziale e multiculturale, da realizzare grazie alla fusione di conquistatori (Greci) e vinti (“barbari”). In quest’ottica, i Persiani non dovevano limitarsi a sottostare a un dominio straniero, ma diventare parte integrante della nuova entità politica. Per questo, Alessandro istruì trentamila giovani persiani all’uso delle armi, alla lingua e alla cultura greca; e per incoraggiare i matrimoni misti tra greci e persiani, sposò non una ma due principesse appartenenti alla famiglia di Dario, e diede in moglie ai suoi amici le migliori ragazze persiane. Addirittura si vestiva e si comportava secondo la moda persiana!
Negli ultimi anni della sua breve vita, aveva sviluppato molti difetti e una forte tendenza ad assumere atteggiamenti da sovrano assoluto e dispotico: dai suoi generali pretendeva la προσκύνησις (Proschiunesis), l’atto di prostrarsi al suolo che i persiani facevano dinanzi al loro re.
Cresceva il malcontento, ci furono molte congiure represse e molte condanne a morte.
In questo contesto, nel 323 a.C. Alessandro morì a Babilonia, dopo una brevissima malattia, il cui decorso è narrato nel diario di corte riferito da Plutarco. Al momento, dice Plutarco, nessuno ebbe il sospetto di un avvelenamento, ma nei sei anni successivi molte persone furono messe a morte con questa accusa. Un vero giallo, al termine di una vicenda in cui si intrecciano la leggenda e la vita reale di un uomo che ha cambiato il corso della storia.
Prima che spirasse, gli chiesero chi dovesse essere il suo successore; egli mormorò semplicemente: “Il migliore”.