Illuminare 39 mila case con l'olio di frittura delle patatine. Non è il progetto da garage di un inventore della domenica, ma quanto in Inghilterra sta realizzando la Thames Water, il colosso idrico britannico, che ha avviato la costruzione della più grande centrale elettrica del mondo alimentata con olio e grasso di scarto. Il prototipo di una filiera nascente del riciclo che prevede anche una rete di raccolta degli oli di fast food, industrie e ristoranti.
La domanda è: ci troviamo ancora una volta di fronte a una strategia economica delle grandi lobbies mascherata da Green Economy? Più in generale, una possibilità di ulteriore business data dalla crescita costante del valore degli oli esausti: in Italia la media era 650 euro alla tonnellata nel 2010, 720 nel 2012 e si prevede che sarà 750 nel 2015. E infatti il comparto coinvolge un numero sempre maggiore di operatori in tutto il mondo.
Una centrale in grado di produrre l'equivalente di 130 GWh in un anno e soddisfare quindi il fabbisogno elettrico di 39 mila nuclei familiari. Protagonisti dell'operazione, del valore di 200 milioni di sterline, oltre alla Thames Water, iCON Infrastructure e i gestori 2OC.
In Italia sarebbe possibile? Certamente ... ma non nel mio giardino!
Dal punto di vista economico non è conveniente sia per l'entità dell'investimento che per il costo di produzione come spiega Fabio Inzoli, direttore del dipartimento energia del Politecnico di Milano:
È la combinazione con il problema delle fogne a rendere il progetto della centrale elettrica a olio di scarto un intervento a risparmio. Da solo, infatti, il processo per la produzione di energia elettrica dal grasso alimentare risulta non essere ancora competitivo. Soprattutto se rapportato ai costi inferiori e alla disponibilità maggiore dei combustibili tradizionali.
Nel caso di Londra /risulta conveniente infatti/ in considerazione del particolare stile di vita della città del Tamigi: per la quantità di ristoranti, fast food e tavole calde presenti a ogni angolo di strada /non paragonabile a quella di nessun'altra città europea/. A fare da leva un problema poco simpatico: l'ostruzione causata dai grassi di scarto nel sistema fognario.
La prima mossa in Italia /con la scusa della "della mucca pazza"/ è stato di impedirne l'utilizzo come additivo nei mangimi degli animali. Adesso questo utilizzo è severamente proibito e quindi è più facile recuperarlo.
A occuparsi della raccolta nostrana, il Consorzio obbligatorio nazionale per il trattamento oli e grassi vegetali e animali esausti (Conoe), che dal 2001 gestisce la rete dell'olio usato su tutto il territorio italiano. Riuscendo, attraverso i suoi 250 raccoglitori ufficiali, a recuperarne circa il 70% , resta ancora una certa dispersione.
Molteplici i possibili impieghi dei grassi di scarto, quelli più green sono produrre agenti distaccanti per l'edilizia e lubrificanti per le macchine agricole.
Il sistema di riciclo che /inoltre/ non è esente da alcune criticità. Tra cui spicca la bassa convenienza economica spiega Roberto Restani - responsabile operativo del Conoe:
L'olio raccolto deve essere filtrato per eliminare i residui e processato per abbattere l'umidità; operazioni che /insieme alla gestione della rete per la raccolta/ diventano onerose. In più gli oli e grassi commestibili esausti vengono vissuti come un rifiuto poco inquinante. Invece si tratta di una sottovalutazione dell'impatto ambientale assolutamente da sfatare.
A meno che non si pensi a l'ennesimo finanziamento pubblico, senza il quale il Green sembra proprio non poter fare a meno.