Dagherrotipo
Il dagherrotipo si ottiene utilizzando una lastra di rame su cui è stato applicato elettroliticamente uno strato d'argento, quest'ultimo viene sensibilizzato alla luce con vapori di iodio. La lastra deve quindi essere esposta entro un'ora e per un periodo variabile tra i 10 e i 15 minuti.
Lo sviluppo avviene mediante vapori di mercurio a circa 60 °C, che rendono biancastre le zone precedentemente esposte alla luce. Il fissaggio conclusivo si ottiene con una soluzione di tiosolfato di sodio, che elimina gli ultimi residui di ioduro d'argento.
L'immagine ottenuta, il dagherrotipo, non è riproducibile e deve essere osservata sotto un angolo particolare per riflettere la luce in modo opportuno. Inoltre, a causa del rapido annerimento dell'argento e della fragilità della lastra, il dagherrotipo veniva racchiuso sotto vetro, all'interno di un cofanetto impreziosito da eleganti intarsi in ottone, pelle e velluto, volti anche a sottolineare il valore dell'oggetto e del soggetto raffigurato.
Per ridurre i tempi di sviluppo ed estendere così il campo d'applicazione della dagherrotipia anche al giornalismo, John Frederick Goddard utilizzò i vapori di bromo per aumentare la sensibilità della lastra, risultato che ottenne anche Jean Francois Antoine Claudet ma con i vapori di cloro. Comunque anche l'unione di queste due tecniche e di obiettivi più luminosi non permise un'esposizione inferiore ai dieci secondi. L'utilizzo di vapori di mercurio rende la produzione di dagherrotipi un procedimento pericoloso per la salute.
Procedimento originale del 1840
Di seguito, un estratto dal fascicolo Il Daguerrotipo, edizione del 1840, sul procedimento per la realizzazione di un dagherrotipo.
Questo processo si divide in cinque operazioni:
- La prima consiste nel nettare e pulimentare la lamina e renderla propria a ricevere lo strato sensibile.
- La seconda, nell'applicazione di questo strato.
- La terza, a sottomettere nella camera oscura la lamina preparata a ricevere l'azione della luce affine di ricevervi l'immagine della natura.
- La quarta, nel fare apparire questa immagine che non è visibile al suo uscire dalla camera oscura.
- La quinta finalmente ha per iscopo di togliere lo strato sensibile che continuerebbe ad essere modificato dalla luce e tenderebbe necessariamente a distruggere interamente la prova.
Strumenti
La fotocamera per la dagherrotipia era composta da una scatola di legno, una fessura per la lastra di rame sul retro e frontalmente un obiettivo fisso, in vetro e ottone. Quest'ultimo era inizialmente costruito sullo schema dell'ottico francese Charles Chevalier, possedeva una luminosità compresa tra f/11 e f/16 e la lunghezza focale era di 360mm. Nel 1840 Josef Petzval introdusse un nuovo obiettivo a quattro lenti e di elevata luminosità (f/3.7), che permise l'abbattimento dei tempi di esposizione. A seguito dell'estremo interesse suscitato dalla nuova tecnica, Daguerre, Niépce e A. Giroux fondarono una società per la produzione della strumentazione necessaria ad ottenere i dagherrotipi.
Le immagini si formavano sulla lastra come riflesse, caratteristica che richiese l'adozione di alcuni accorgimenti per la composizione del dagherrotipo, come la sistemazione degli oggetti a destra per farli apparire a sinistra, oppure non includere del testo, per evitarne il capovolgimento. Nel 1840 Alexandre S. Wolcott inserì uno specchio concavo in fondo alla camera oscura, che riflettendo per la seconda volta l'immagine, ne restituisce il corretto posizionamento. Claudet contribuì alla soluzione con un prisma raddrizzatore dopo l'obiettivo.
In Italia il primo esemplare della fotocamera di Daguerre raggiunse il laboratorio ottico di Alessandro Duroni poco dopo la presentazione di Arago. Con il nuovo strumento furono prese alcune vedute della città di Milano.
L'8 ottobre 1839 (185 anni fa) a Torino, Enrico Federico Jest, insieme con il figlio Carlo Alessandro e con Antonio Rasetti, produsse dei dagherrotipi utilizzando una macchina autoprodotta, il primo apparecchio fotografico italiano. Grazie alla traduzione del manuale di Daguerre ad opera dello stesso Jest, nel 1840, si formano numerosi altri studi per la produzione di strumenti per la dagherrotipia.