Se vogliamo continuare a sfornare e vendere centinaia di milioni di smartphone ogni anno, presto potremmo ritrovarci costretti a procurarci i materiali prelevandoli da altri pianeti.
Quella che sembra una surreale iperbole è invece la prospettiva piuttosto realistica che emerge quando si considera che per produrre dispositivi come iPhone e simili sono necessari materiali chiamati Terre Rare o Rare Earth Elements che per una serie di motivi sono assai difficili da individuare ed estrarre.
C'è bisogno di Ittrio e di Europio per assicurare che i colori dello schermo siano sufficientemente brillanti, c'è bisogno di Cerio per dare al vetro quell'aspetto tanto lucido, e ancora il Terbio per gli speaker, e il Disprosio e il Neodimio per l'unità vibrante. E come fare a meno poi del Lantanio, del Praseodimio e del Gadolinio, elementi fondamentali per la produzione dei circuiti?
Sfortuna vuole che questi elementi non siano solo tremendamente rari, ma anche parecchio pericolosi da estrarre. È anche per questo se /oggi/ il 90% dei Rare Earth Elements utilizzati nel mondo vengano estratti in Cina, dove le norme ambientali sono piuttosto lasche. Basti pensare alla città di Baotou, una metropoli nell'entroterra della Mongolia, che a causa delle miniere limitrofe ha assunto i connotati di uno scenario da fantascienza apocalittica. La prima cosa a dare segni di contaminazione è stato il lago cittadino, a cui la gente non può più avvicinarsi senza stringere gli occhi e turarsi il naso, e che emana esalazioni verdastre da olocausto radioattivo. I contadini della zona si lamentano che le piante non crescono, gli animali si ammalano, i denti e i capelli dei loro figli cadono. Qual'è il problema? Il problema è che il suolo di Baotou è pieno zeppo di torio radioattivo, e il processo di estrazione dei materiali rari crea una serie di rifiuti tossici che finiscono per riversarsi nei bacini acquiferi della zona.
Per ovviare a questo insostenibile corollario si stanno cercando diverse strade, e in particolare l'azienda Molycorp ha annunciato di aver sviluppato un sistema di estrazione che salvaguarda l'ambiente circostante (nei limiti del possibile). Il problema del monopolio cinese però non è così facilmente aggirabile, nel 2010 la potenza orientale ha chiuso temporaneamente i rubinetti dei materiali rari, costringendo il resto del mondo a cercare soluzioni alternative. I Rare Earth Materials sono infatti fondamentali per un ampio ventaglio di tecnologie, non solo per gli smartphone: dalle turbine eoliche, alle macchine ibride ai binocoli per la visione notturna.
È qui che entra in scena la Luna. Basandosi sui campioni di roccia lunare trasportati sulla Terra tra gli anni '60 e '70 e su una serie di plausibili teorie, gli scienziati sono infatti convinti che la crosta lunare possa ospitare una preziosa quantità di terre rare e che esistano i mezzi per estrarle. Per quanto possa suonare bizzarra, questa prospettiva è già da anni oggetto di seri studi. La NASA ha piazzato sulla luna uno strumento chiamato Moon Mineralogy Mapper, per studiare da vicino il suolo lunare e ottenere maggiori informazioni sulla sua origine. Lo stesso Google, da anni ha lanciato una competizione chiamata Lunar X Prize, che premia con decine di milioni di dollari i team indipendenti che sviluppano una tecnologia efficace per spedire e manovrare robot sulla Luna.
Per ora è un orizzonte troppo lontano per vederlo a occhio nudo, ma a giudicare dalla curva esponenziale che solitamente seguono queste tecnologie, l'ipotesi di trasformare la Luna in un'enorme miniera (come meravigliosamente illustrato nel film Moon), suona sempre meno assurda.