Vespasiano e l'urina
L'imperatore Vespasiano (7-79) si guadagnò la fama di “avaro” anche a causa di alcune tasse bizzarre imposte alla popolazione.
In realtà quello economico-finanziario fu uno dei problemi più gravi ai quali il primo dei Flavi fu costretto a far fronte, e per riuscire nell’intento di risanare le casse pubbliche, l’uomo non esitò ad “inventarsi” tributi effettivamente “particolari”.
Su tutti basti citare la famosa vectigal urinae, una vera e propria tassa sull’urina, che tutti i conciatori e i fullones (coloro che trattavano la lana) dell’Impero furono costretti a pagare per acquistare la pipì necessaria al loro lavoro.
All’epoca infatti, l’ammoniaca naturalmente contenuta nell’urina era sfruttata, tra l’altro, come detergente e sbiancante dei tessuti e veniva pertanto raccolta in abbondanza nelle latrine pubbliche.
Si dice che derivi proprio dalla decisione di Vespasiano di tassare (persino) l’urina, l’antico detto latino “pecunia non olet“, ovvero “il denaro non puzza“, che sarebbe stata la risposta fornita dall’Imperatore stesso al figlio Tito, quando questi lo aveva rimproverato per il provvedimento preso.
Pare che mostrandogli la somma di denaro raccolta, Vespasiano abbia chiesto a Tito se per caso non si sentisse offeso o infastidito dal suo odore, e avendogli quest’ultimo detto di no, egli abbia concluso affermando: “eppure proviene dall’urina”