Finalmente eravamo pronti a ripartire. Ma per dove? La nostra più grande paura era prendere la rotta sbagliata e andare in una direzione senza nient'altro che acqua, e onde, e morte. Con i viveri limitati avevamo una possibilità su mille di riuscire a sopravvivere e giungere alla terraferma. Il cibo non era particolarmente un problema: Jacob, un vecchio mozzo ubriacone, rozzo e di maniere brusche, ma di buon cuore, è un ottimo pescatore, ed è riuscito sempre a rimediare qualcosa da mangiare. Avevamo anche una buona quantità di limoni, in modo da non ammalarci di scorbuto.
Il problema, per quanto ne fossimo circondati, era l'acqua: nonostante il duro razionamento la quantità che potevamo permetterci era di mezza pinta d'acqua al giorno, e il caldo torrido faceva sì che non era assolutamente sufficiente. Dovevamo decidere in fretta. Quella volta era il turno di Cisco, a stupirci: tutti noi l'avevamo sempre schernito, ritenendolo un ignorante e uno stupido, ma ha l'animo del filosofo, e sempre il suo sguardo si volge alle stelle, in cerca di risposte. Nessuno le conosce meglio del vecchio Cisco, le conosce così bene che è in grado di usarle per orientarsi, ovunque si trovi.
E' stato così che, stabilendo con buona precisione dove ci trovassimo e dove si trovasse la terra più vicina, abbiamo preso una rotta precisa, senza mai modificarla. Come uomini liberi ci stavamo realizzando, nessuno di noi era inutile, o superfluo, o semplicemente un paio di braccia forti da poter sfruttare e sostituire in qualunque momento. Ognuno era indispensabile alla sopravvivenza degli altri e, nonostante la tensione, non ci sono stati litigi né altro, eravamo tutti molto uniti.
I successivi giorni di navigazione sono trascorsi tranquilli: Fidel si è scoperto un ottimo cuoco, e con i pochi mezzi a disposizione riusciva a fare del pescato di Jacob degli ottimi manicaretti, semplici ma molto energetici. Gonzalo, invece, si è dimostrato un buon, buonissimo carpentiere, e passava il tempo a rinforzare la nave, sfruttando tutto il legname superfluo che riusciva a trovare. Cisco ha continuato a mantenere la rotta, certo che presto avremmo raggiunto terra.
Tutto è andato bene fino a due giorni fa: proprio quando sembrava eravamo finalmente vicini alla tanto agognata terra, verso mezzogiorno siamo incappati in una nuova tempesta, ancora più forte di quella che aveva distrutto il nostro equipaggio. Onde altissime sembravano voler capovolgere ad ogni costo la nave, impattando ogni volta con più forza il fianco della nave, e un vento furioso scuoteva le vele con un accanimento tale che credevamo di essere vittima dell'ira di una qualche divinità esotica.
La tempesta durò tutto il giorno e tutta la notte, e ognuno di noi ha fatto il possibile per resistere: Cisco era al timone, e lottava con tutte le sue forze per mantenere la rotta. Io mi occupavo di ammainare più di metà delle vele, in modo che non si stracciassero, e gli altri gettavano fuori l'acqua imbarcata.
Eravamo sfiniti, assetati e affamati, e la notte abbiamo smesso di lottare, abbandonandoci al nostro destino, avevamo fatto tutto ciò che era in nostro potere, dopotutto. Ci siamo ritirati sotto coperta e abbiamo pregato con tutte le nostre forze che la tempesta cessasse presto. Il mattino ci siamo svegliati al dolce, lieve rollio della nave, segnale che il mare era ormai calmo. Nessuno di noi aveva il coraggio di uscire in coperta e vedere i danni che la nave aveva subito. Eravamo ancora a galla però, ed eravamo ancora vivi, un buon segno. Sono stato il primo a decidere di uscire, e non riuscivo a credere ai miei occhi: la nave aveva tenuto. Le vele non si erano stracciate, il timone funzionava ancora bene e i rinforzi di Gonzalo hanno fatto sì che i danni fossero pochi o nulli.
Allora abbiamo cantato e ballato euforici, a lungo, alla luce di un'alba di un giorno nuovo e ricco di speranza. Oggi, dopo venti giorni di navigazione, riesco a scorgere una linea inconfondibile all'orizzonte, e urlo ai miei compagni: "Terra! Terra!".