Babbo Natale
L’uso di fare doni ai bambini in occasione del solstizio d’inverno c’è sempre stato. Nell’antica Roma imperiale, fra gli anni 243 e 366 dopo Cristo, l’occasione cominciò a coincidere con il “dies natalis” e amici e parenti iniziarono a scambiarsi le prime “stranae” per festeggiare. Insieme alla nascita di Gesù si ricordava l’anniversario dell’ascesa al trono dell’Imperatore e i festeggiamenti per i due eventi avevano il significato simbolico di prosperità che ci si augurava durasse per tutto l’anno. Agli auguri di buona salute, si accompagnarono presto ricchi cesti di frutta e dolciumi, e poi doni di ogni tipo.
Ma nel passato i regali non li portava Babbo Natale. A portare i regali ai bambini ci pensavano gli elfi, gli angeli, le fate, i Re Magi, Santa Lucia, Gesù Bambino, la Befana. La figura di Babbo Natale si ricollega a San Nicola che, vissuto in Lycia nel IV secolo (nato a Patara in Turchia), fu Vescovo di Myra. Dopo la morte le sue spoglie furono trafugate e portate a Bari di cui divenne il patrono. San Nicola (Sanctus Nicolàus) era rappresentato vestito da Vescovo, quindi con l’abito rosso che poi resterà nella rivisitazione americana di Moore. Per diventare ciò che è attualmente, la leggenda e la storia di Babbo Natale - San Nicola dovette arrivare negli USA al seguito degli immigrati olandesi: il nome olandese del santo, Sinter Klass, venne importato in America dagli immigrati come Santa Claus, la cui traduzione in italiano è solitamente Babbo Natale. Infine, a New York trovò Clement Clark Moore, che nel 1822 scrisse per i suoi sei figli la poesiaA visit from St. Nicholas in cui lo descriveva in vesti nuove. Il successo fu immenso e lui, con i nomi di Santa Klaus, Father Christmas, Papa Noël, Weihnachtsmann (anche se in Germania restò molto viva l’usanza che i doni li portasse Gesù bambino), Babbo Natale, diventò il più amato portatore di doni e regali.
San Nicola era già divenuto nella fantasia popolare "portatore di doni", grazie a numerose leggende che si erano diffuse su di lui fin dagli anni che seguirono la sua morte. Una tra le più famose, riportata anche da Dante nel Purgatorio(XX, 31-33), è quella delle tre giovani poverissime destinate alla prostituzione, dal momento che il padre, caduto in miseria, non poteva dare loro la dote per farle sposare. L’uomo pregò Nicola che decise di aiutarlo lanciando per tre notti consecutive, attraverso una finestra sempre aperta della casa, i tre sacchi di monete che avrebbero costituito la dote delle ragazze. La prima e la seconda notte le cose andarono come stabilito, mentre la terza notte San Nicola trovò la finestra inspiegabilmente chiusa. Deciso a mantenere comunque fede al suo proposito, il vecchio dalla lunga barba bianca si arrampicò così sui tetti e gettò il sacchetto di monete attraverso il camino, dov’erano appese le calze ad asciugare, facendo la felicità del nobiluomo e delle sue tre figlie. In altre versioni posteriori, forse modificate per poter essere raccontate ai bambini a scopo educativo, Nicola regalava cibo alle famiglie più povere calandoglielo attraverso i camini o lasciandolo sui davanzali delle finestre. La notte della consegna dei doni diventò quella del 6 dicembre (S. Nicola, appunto) e poi quella di Natale. Nei Paesi di lingua olandese (Paesi Bassi e Belgio Fiammingo) ancora si festeggia la notte del 6 dicembre Sinter Klass e vengono portati regali solo ai ragazzi, così come San Nicola, secondo la leggenda, aveva portato doni solo alle tre ragazze povere.
L’immagine che siamo abituati a vedere di Babbo Natale deriva da una delle prime pubblicità della Coca Cola. Nel 1931 quest’azienda decise infatti di usare Babbo Natale nelle sue campagne pubblicitarie invernali e commissionò ad un artista americano, Haddon Sundblom, l’incarico di ridisegnare il vecchio gentiluomo con in mano una bottiglia della celebre bevanda. Queste illustrazioni invasero il mercato dai primi Anni Trenta all’inizio dei Sessanta, diventando l’immagine di colui che porta i regali di Natale e perdendo ogni connotazione religiosa.
In un recente racconto di Gianrico Carofiglio così viene raccontata la leggenda di San Nicola di Bari:
"Ma tu lo sai che è Bari il paese di Babbo Natale?" "Che dici mamma? Il paese di Babbo Natale è in Finlandia, l’ho letto su Topolino." "Non è così. In Finlandia c’è solo il deposito dei giocattoli. Babbo Natale abita a Bari." Dissi che non ci credevo, e che pensavo mi stesse prendendo in giro. Lei allora mi spiegò, molto seriamente, che Babbo Natale è uno dei nomi di San Nicola, che è il santo di Bari e abita nella basilica della città vecchia, vicino al mare.
Siccome ero ancora scettico mi fece vedere un libro dove si spiegava la storia di Nicola-Santa Klaus-Babbo Natale. Da quel libro sembrava evidente che si trattasse della stessa persona. E poi c’erano anche delle immagini da cui - mi parve - era chiarissima la somiglianza. "Scusa, ma se Babbo Natale è san Nicola perché non lo dice nessuno? Io non l’ho letto su nessun giornalino, su nessun libro. Nemmeno la maestra ce lo ha mai detto. Se fosse vero dovrebbero dirlo." "Non lo dice nessuno perché è un segreto. Lo sappiamo in pochi. Babbo Natale vuole essere lasciato in pace quando torna a casa sua - a Bari - per riposarsi."
Era una spiegazione plausibile e così mi convinsi, mentre mi sentivo invadere da una strana eccitazione... Avevo scoperto di abitare in un luogo straordinario, un luogo unico al mondo: il paese segreto di Babbo Natale." (Gianrico Carofiglio, Né qui né altrove, Roma-Bari, Laterza, pp. 136-7)
Babbo Natale e al plurale
Babbo Natale, o anche Papà Natale, quello che la notte della Vigilia porta i regali ai bambini, è senza dubbio uno solo e non ha certo bisogno di un plurale; ma i suoi aiutanti, che possiamo incontrare in carne e ossa lungo le strade o nei centri commerciali di tutta Italia, e le sue rappresentazioni, che si arrampicano sui balconi o presidiano i negozi, sembra abbiano ormai acquisito diritto al plurale; ovvero, quando il sintagma, da nome proprio di un magico personaggio, diviene nome comune delle sue numerosissime repliche, la questione del plurale acquista legittimità.
Per il primo elemento non ci sono problemi: babbo ha il suo plurale, ma cosa farne di Natale? È da considerarsi il nome proprio dei vari babbi o fa parte integrante del nome comune? Il plurale babbi Natale (scritto anche Babbi Natale) è usato molto frequentemente: quest’anno ne abbiamo un esempio nel titolo dell’ultimo film di Aldo Giovanni e Giacomo La banda dei Babbi Natale.
Ma non manca, nella tradizione letteraria novecentesca, chi declina al plurale anche il secondo membro: se ne trovano esempi in Elsa Morante (“Per lui, da quando era nato, non c’erano state mai, né Befane, né Babbi Natali, né maghi o fate o simili; però aveva qualche sentore della loro esistenza” in La storia, 2a ed., Gli struzzi Einaudi, 1974, p. 454), in Dino Buzzati ("È l’ora di finirla con tutte queste fanfaluche di Babbi Natali, Bambini Gesù, Santa Klaus, capaci solo di confondere le teste dei fanciulli" in Il panettone non bastò: scritti, racconti e fiabe natalizie, a cura di Lorenzo Viganò, Oscar Mondadori, 2004, p. 39) e in Oriana Fallaci ("Li ho immaginati avvolti nelle toghe rosse come cardinali, imberrettati di bianco ermellino come Babbi Natali" in Oriana Fallaci Intervista sé stessa: l’apocalisse, Rizzoli international, 2005, p. 136).
Un fenomeno simile investe, oltre al nome della Befana, il cui plurale però non è altrettanto problematico, anche quello di un altro personaggio che si contende la missione di recare doni ai bambini in questo periodo, Santa Lucia, o meglio le sue rappresentazioni commestibili: "Per Santa Lucia ’ 13 dicembre ’ è festa generale. In Novara sotto le arcate dei portici mettono tanti banchi illuminati e forniti di ogni sorta di chicche e di Sante Lucie di zucchero" (in Giuseppe Pitrè, Salvatore Salomone-Marino, Archivio per lo studio delle tradizioni popolari, Forni, 1886, vol. 5, p. 452). Troviamo anche, ovviamente riferito alle statuine del presepe, il plurale di san Giuseppe: "I magi inginocchiati, i pastori con le braccia tese, le pecorine dal candido vello, le madonne, i santi giuseppi, i bambinelli, stanno ciascuno solitario nella sua categoria... (Mario Picchi, Storia di una notte, Rizzoli, 1968, p. 107) e nel citato brano di Buzzati abbiamo visto addirittura i Bambini Gesù, nel quale la terminazione in ù salva da un plurale che risulterebbe prossimo alla blasfemia.
In conclusione, in un momento in cui non vi è una soluzione univoca, il plurale più corretto ci pare babbi Natale, con la lettera minuscola del primo membro a chiarire l’intenzione di indicare una rappresentazione più o meno adeguata dell’unico e irripetibile Babbo Natale.
A cura di Raffaella Setti e Matilde Paoli
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca