Tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta venne alla luce la cosiddetta "seconda generazione" dei videogiochi, protagonista di una fase di grande splendore per il settore degli "arcade". Questo tipo di videogame era contenuto in una postazione a forma di cabina, dotata di video e pulsantiera, che consentiva di giocare una partita, previo inserimento di un gettone o di una moneta (difatti erano anche detti coin-op, forma abbreviata di coin-operated, in italiano "macchina a gettoni").
Diffuse nei bar e poi in apposite sale giochi, queste "macchine infernali" (odiate dai genitori, mentre erano una miniera d'oro per i gestori dei locali), dirette discendenti dei flipper, iniziarono a diffondersi in tutto il mondo grazie all'uscita di videogiochi di successo, lanciati in quel periodo, come il celebre Space invaders, lanciato dalla Taito e rilasciato in licenza alla Midway Games nel 1978.
La stessa società statunitense sarebbe stata protagonista due anni dopo di un altro successo, di ben altra portata rispetto al primo. Tutto prese forma nella mente di Tohru Iwatani, programmatore di videogiochi per la giapponese Namco. Costui una sera, in compagnia di amici, fu ispirato dalla pizza che aveva nel piatto: una forma tonda interrotta da uno spazio, creato da una fetta mancante, che rimandava alla sagoma di una bocca aperta.
Quindici mesi dopo quell'episodio così insignificante si tradusse in un videogame, che venne messo in commercio in Giappone il 22 maggio del 1980 ({yago 1980}), con il titolo di Puckman, derivato da un'espressione giapponese indicante l'atto di «chiudere e aprire la bocca». La successiva uscita sul mercato USA, per mano della Midway Games, portò a un cambio di nome, dettato dalla pericolosa assonanza con una parolaccia inglese. Nelle sale giochi americane e internazionali venne conosciuto fin dall'inizio come Pac-man.
L'estrema semplicità nelle modalità di gioco (niente pulsanti ma solo una leva direzionale per muoversi all'interno del labirinto) e nella veste grafica lo rendeva accessibile a tutti, anche ai più piccoli. Una formula vincente che fece vendere alla Namco oltre trecentomila macchinette in tutto il mondo. In pochi anni anni il "cerchietto giallo" si trasformò in un'icona culturale e in un fenomeno di marketing, che lo vide associato a numerosi gadget, imitazioni e finanche una serie animata trasmessa dalla CBS.
Il boom di vendite e di consenso tra i giovani spinse la Namco a perfezionare il gioco, caratterizzando i quattro fantasmini (cui venne assegnato un nome), e a svilupparlo in versioni differenti. L'iniziale fallimento nell'adattamento alla console casalinga con Atari non impedì che in seguito trovasse spazio sulle principali console, da Nintendo a Xbox, passando per la PlayStation.
Un aspetto curioso della prima versione fu la presenza di un "bug" che bloccava il gioco al livello 256, quando invece gli ideatori l'avevano progettato perché durasse potenzialmente all'infinito. Ciò permise di individuare un massimo punteggio raggiungibile, il "perfect score" (equivalente a 3'333'360 punti), registrato per la prima volta da Billy Mitchell nel 1999, in sei ore di partita.