Reduce dalla vittoriosa campagna nella Lombardia settentrionale, condotta al comando dei Cacciatori delle Alpi contro l'esercito austriaco nell'ambito della Seconda guerra d'indipendenza (aprile - luglio 1859), Giuseppe Garibaldi era sempre più consapevole che, con le sue doti di trascinatore, avrebbe raccolto attorno a sé altri volontari per estendere l'impresa rivoluzionaria anche al Sud. Obiettivo su cui aveva trovato il valido sostegno dei mazziniani siciliani Francesco Crispi e Rosolino Pilo, esuli in Piemonte.
Di contro c'era l'atteggiamento attendista del governo sabaudo, in particolare del presidente del Consiglio dei Ministri Cavour, preoccupato da un lato che la ribellione potesse estendersi ai domini pontifici, dall'altro di dover rassicurare le diplomazie europee che non avrebbe in alcun modo appoggiato moti insurrezionali contro un altro Stato, in questo caso il Regno delle due Sicilie, retto da Francesco II. La strategia concordata con il re Vittorio Emanuele II era di aspettare passivamente l'evolversi degli eventi.
In realtà anche lo stesso Garibaldi attendeva il "casus belli", prima di passare all'azione. Il suo timore, più che fondato, era che non maturasse un ampio sentimento di ribellione tra la popolazione locale e che quindi si potesse ripetere il fallimento dell'azione patriottica di Carlo Pisacane, repressa nel sangue. A rompere gli indugi fu l'episodio della rivolta palermitana della Gancia (4 aprile 1860), stroncata sul nascere ma che aveva animato altri moti insurrezionali nell'isola.
Su richiesta di Crispi e del suo braccio destro Nino Bixio, il condottiero di Nizza mise in moto la macchina della propaganda per attirare volontari e raccogliere quante più armi possibili. Per le armi in realtà dovette fare di necessità virtù, dopo che il governatore di Milano, Massimo D'Azeglio, mise sotto sequestro 23 mila fucili inglesi Enfield (il meglio che si potesse trovare all'epoca); ciò lo costrinse a raccattare un migliaio di vecchi fucili, utilizzati dall'esercito piemontese nella Seconda guerra d'indipendenza.
L'appoggio sotterraneo alla spedizione, da parte del governo sabaudo, si manifestò anche nella messa a disposizione delle due navi, il Lombardo e il Piemonte, coperta dal blitz simulato dai garibaldini, la sera del 5 maggio, nel porto di Genova. Impossessatisi delle imbarcazioni, vi salirono in 1'162, tutti rigorosamente in camicia rossa come il loro generale, e all'alba del 6 maggio salparono dallo scoglio di Quarto (oggi quartiere residenziale del capoluogo ligure) alla volta della Sicilia.
Un esercito rappresentativo in gran parte della società dell'epoca: studenti, avvocati, medici, artigiani, provenienti per lo più da Lombardia, Liguria e Veneto e in piccola parte dalle altre regioni. Una sola donna tra loro, Rosalia Montmasson, moglie di Francesco Crispi. Dopo aver fatto rifornimento d'armi a Talamone (frazione di Orbetello, nel grossetano), sbarcarono a Marsala l'11 maggio del 1860 (164 anni fa). L'approdo, favorito dalla presenza di navi della marina militare inglese, si svolse in maniera indolore anche per il tardivo arrivo delle navi borboniche, posizionate nel porto di Sciacca.
Se i cittadini di Marsala reagirono con stupore alla vista di quella schiera di camicie rosse, quelli di Salemi, tre giorni dopo, li accolsero festanti. Qui Garibaldi assunse la dittatura della Sicilia in nome dell'Italia e del Re, nominando Salemi capitale d'Italia; fu la prima ad assumere tale titolo e a conservarlo per un giorno. Il 15 maggio avvenne il primo scontro con l'esercito borbonico nella Battaglia di Calatafimi, alla quale seguirono la conquista di Palermo, la battaglia di Milazzo e la caduta di Messina.
Già dopo i primi scontri gran parte delle popolazioni locali decise di schierarsi al fianco dei Mille, contribuendo con le loro insurrezioni alla liberazione dell'isola. La notizia incoraggiò i cittadini della parte continentale del regno borbonico, che insorsero spianando la strada all'impresa unitaria. Liberata Napoli (7 settembre), con la battaglia del Volturno (1° ottobre) si costrinse alla fuga Francesco II e la sua corte.
Il 21 ottobre si tennero i plebisciti che sancirono l'annessione dei territori delle Due Sicilie al regno sabaudo. Cinque giorni dopo, nel celebre incontro a Teano, Garibaldi consegnò le terre conquistate nelle mani di Vittorio Emanuele II, che ora aveva riunito sotto la sua corona tutta la penisola, ad eccezione di Veneto e Trentino, ancora in mano agli Austriaci, e del Lazio, dominio del Papato.