Non andava tanto bene 131 anni fa per Kokichi Mikimoto. L'uomo è sull'orlo della bancarotta: sono anni che si ostina a cercare un modo per "coltivare" le perle, ma nulla sembra funzionare; ha capito che tutto dipende dall'inserimento di un frammento di materia epiteliale all'interno dell'ostrica, cosicché questa per reazione la ricopre di strati di madreperla, ma i tentativi a vuoto sono stati tanti, troppi. Prima ha dovuto imparare a non uccidere il mollusco aprendo il guscio, poi a piazzare il frammento nella posizione migliore, poi a capire a quale profondità andassero piazzate, e poi c'era l'attesa, lunga; tutto troppo difficile, i risultati non arrivano, i suoi creditori sono sempre più impazienti: Kokichi, figlio di un produttore di noodles dell'isola di Honshu, è a un passo del fallimento.
Rimane al suo fianco solo la moglie Ume, che porta avanti la famiglia gestendo un banco di Noodle. Eppure Mikimoto sa di avere avuto l'idea giusta: si è reso conto, pur non lasciando mai il suo paese, che il mondo era pronto ad essere "invaso" dalle perle coltivate, e vuole essere lui a farlo offrendo esemplari perfetti, splendidi e unici. Il loro commercio all'epoca è in mano all'Inghilterra che lo gestisce attraverso la Compagnia delle Indie, mentre in Giappone la raccolta delle "Ama", le pescatrici vestite di bianco che si tuffano fino a 15 metri di profondità per cercarle, non è mai sufficiente: ecco com'è nata l'idea di coltivarle, evitando allo stesso tempo di distruggere l'ecosistema delle isole e dando lavoro ai pescatori della zona.
L'11 luglio 1893 (131 anni fa) il suo sogno sembrava essere stato travolto dalla Marea Rossa, un'invasione di alghe letale per i molluschi. L'intera coltura di ostriche era distrutta: ne restava solo qualche cesta nelle acque attorno all'isola di Ojima; Kokichi e Ume le controllano per puro scrupolo, e in una trovano una perla, la prima del loro allevamento. È semisferica, ma poco importa: ha dimostrato d'avere ragione, ora è una questione di perfezionarsi. E lui perfezionista lo è, lo sanno tutti: in onore della scoperta ribattezza Ojima "Pearl Island", crea una comunità di 40 persone che lavorano stabilmente per lui (una curiosità: i leggeri completi bianchi che le Ama indossano sono un'idea sua, prima erano solite pescare praticamente nude), migliora costantemente la produzione. Usa solo ostriche Akoya, perché garantiscono la qualità migliore, apre la sua prima boutique all'occidentale a Tokyo nel 1899, nel 1901 raggiunge il milione di ostriche coltivate, nel 1905 brevetta la perla sferica, nel 1907 presenta i primi gioielli finiti a firma Mikimoto, nel 1914 a Okinawa avvia la prima produzione di perle nere e grigie.
Negli stessi anni la moglie, appena trentaduenne, muore: non si risposerà più, dedicandosi solo al lavoro. Presto la fama delle sue perle arriva in Europa, e Mikimoto finisce per diventare anche "Fornitore della Real Casa": Edoardo VII per la sua incoronazione in Inghilterra indossa gioielli decorati con sue perle. Da lì la conquista del mondo è a portata di mano: spedisce 2 dei suoi 5 figli in America a saggiare il terreno perché capisce che la vera ricchezza ora è lì, intuisce che la rigorosità della selezione - meno del 5% delle perle prodotte diventano Mikimoto - è un ottimo biglietto da visita, e su quello costruisce l'identità del marchio. Per dimostrarlo nel 1932 non esita a dare fuoco a una piccola montagna di perle davanti alla Camera di Commercio di Kobe: una protesta contro lo svilimento della sua arte, messa in pericolo da un commercio troppo "disinvolto" dei produttori arrivati sulla scia del suo successo.