"Sei proprio svergognato, un essere depravato. Ma come ti permetti di approfittare di mia figlia! Ho saputo che quando ti incontri con lei, le fai toccare continuamente il tuoi attributi!"
"Beh, perché si arrabbia? Lei non mi ha concesso forse la sua mano?"
Termine entrato nel linguaggio letterario e giornalistico in seguito alla pubblicazione postuma, avvenuta nel 1958, del romanzo Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, per riferirsi all’atteggiamento tipico del protagonista dell’opera, Fabrizio Corbera principe di Salina (che aveva un gattopardo come figura araldica nell’arme gentilizia), in quanto tale atteggiamento definito come gattopardismo, sia imitato e fatto proprio da personaggi della vita politica o anche da persone comuni. Nel romanzo di Salvo Scibilia il termine racchiude un significato più sottile e sotterraneo che ha a che fare con le «mezze parole», le insinuazioni, i doppi sensi, le menzogne. Un modo di relazionarsi perfetto per rafforzare l’assunto gattopardesco del tutto cambia senza nulla cambiare, quindi tradizionalista, conservatore.
Sinonimi: borghese, conformista, moderato, conservatore, reazionario.
Lodatore del tempo passato.
Incapacità, da parte delle vecchie generazioni, di cogliere le innovazioni del presente e di adeguarsi al progresso. È utilizzata attualmente in campo politico per bollare i conservatori più convinti, chiusi a qualsiasi rinnovamento.
Francese - Pronuncia: potpurrì. Letteralmente pot "pentola" e pourri"putrido". Calco dello spagnolo olla podrida.
Potpourri è utilizzato come nome maschile invariato.
È una composizione realizzata con petali di fiori secchi ed altri scarti vegetali (lasciati marcire e poi seccati) normalmente utilizzata per profumare o abbellire gli ambienti. Nei potpourri moderni spesso alle composizioni vengono aggiunti anche elementi decorativi.
Spesso si definiscono potpourri degli insiemi di erbe aromatiche o altri scarti vegetali, con o senza aggiunta di oli essenziali, usate per profumare biancheria o ambienti.
Di solito, questi materiali, vengono collocati in ciotole di legno o in sacchetti di stoffa.
Per estensione: Opera letteraria o musicale composta con la fusione di più pezzi diversi. In particolare, in Francia, dal secolo 18° in poi, denominazione di composizioni specialmente strumentali (ma anche vocali) risultanti dalla riunione di pezzi eterogenei o anche di frammenti di un'opera collegati da brevi passaggi modulanti; corrisponde all'italiano centone (talora a selezione) e ai termini, usati soprattutto nella musica per banda e in quella per orchestrina o pianoforte, di sunto, fantasia.
Più genericamente: Mescolanza di cose eterogenee; miscuglio, accozzaglia: un putpurrì di osservazioni, di citazioni.
Mescolanza, centone, miscuglio, mistura, varietà, accozzaglia, zibaldone, assortimento, miscellanea, aggregazione, assemblaggio, collezione.
Potpourri è utilizzato come nome maschile invariato.
Pezzo di carne stufata così a lungo (con verdure e legumi) al punto di disfarsi.
Aggettivo
Il termine onomatopèica deriva dal greco ονοματοποιακά (onomatopoiaka) composta da ονοματος (ònomatos) = "nome" + ποιηιν (poièin) = "fare".
Il termine onomatopèa oppure anche onomatopeia è un sostantivo di genere femminile proprio del linguaggio tecnico-scientifico della linguistica ed indica una figura retorica che riproduce, attraverso i suoni di una determinata lingua, il rumore o il suono associato ad un oggetto o a un soggetto a cui si vuole fare riferimento, mediante un procedimento iconico tipico del fonosimbolismo.
È un arricchimento delle capacità espressive della lingua mediante l'imitazione fonetica come ad esempio "brrr, crac; bau bau, tic tac; din don dan" o "patapum, taratatà, chicchirichì" o interi versi, che quindi suggeriscono acusticamente l'oggetto o l'azione significata.
Dalla definizione, si evince immediatamente che l’espressione suono onomatopeico non può essere corretta: l’onomatopea è infatti una parola che imita un suono.
Esistono molti verbi che si possono definire onomatopeici o voce di origine onomatopeica, cioè che sono derivati da fonosimboli. Esempio: bisbigliare, borbottare (in cui l'onomatopea è meno evidente), gloglottare (il verso del tacchino, in cui l'origine fonosimbolica è molto più chiara) ronzare.
Molti sono anche i sostantivi che hanno un simile etimo. Nella maggior parte dei casi l'origine onomatopeica non è evidente e va ricercata, per esempio, nel latino: un caso simile è quello del verbo frinire, dato come derivante dal latino fritinnīre, latino medievale frintinnīre.